In più di un’occasione ho espresso la mia contrarietà all’uso di tappeti sonori, musiche troppo preponderanti, sigle e quant’altro. A me piacciono le cose che, come si suol dire, arrivano dritte per dritte: i miei podcast preferiti sono addirittura privi di sigla.
Però non posso fare a meno di considerare che un tema musicale e in generale i suoni che vengono scelti per un podcast, soprattutto se realizzati per lavoro (o con una finalità che spinge verso l’ambito lavorativo: tipo mettersi – giustamente – in mostra per dimostrare le proprie competenze, per dire), in casi del genere dicevo una forte personalità musicale può essere uno dei tratti caratterizzanti il tuo programma.
Alla fine della fiera è la stessa cosa che accade con un telefilm, per dire: c’è la sigla, ci sono alcuni temi ricorrenti (specialmente legati ai personaggi principali), poi altre musiche che vengono scritte apposta, quando c’è qualcuno che compone la musica, oppure delle canzoni già composte e pubblicate e che gli autori del programma ritengono particolarmente azzeccate per una scena. (Poi c’è Netflix che in alcune serie prende, semplicemente, la top 20 di Spotify in un determinato genere e la sbatte tutta nella stagione, decisamente a cazzo di cane: ma tanto ormai il 90% di quello che fa Netflix è governato da un algoritmo che a confronto Google sembra frutto del lavoro manuale di qualcuno.) (Fine della reprimenda.)
Non posso sottovalutare neanche il fatto che la maggior parte dei podcast più famosi che girano in Italia hanno tutti una quantità variabile di musiche: chi solo la sigla, chi un semplice tappeto musicale, chi abbonda di bumper e stinger, ci sono quelli col sound design complesso. Nei podcast statunitensi che ascolto io ce ne sono diversi che includono anche musiche (originali o meno non importa): è una pratica che qui da noi non ha ancora preso troppo piede, da quel che so. (Se invece hai un’impressione differente, dimmelo: pur sforzandomi di ascoltare tante cose, soprattutto quando non andrebbero incontro al mio gusto personale, mi sfuggono tanti podcast, e mi fa sempre piacere scoprirne di nuovi!)
La sigla, certe atmosfere, certi strumenti addirittura possono indicare chiaramente alle spettatrici in primo luogo che cosa stanno guardando; e in seconda battuta le può portare direttamente nell’atmosfera del telefilm. O del film. O, ehi, del podcast.
Quando dico che utilizzo il meno possibile gli elemnti musicali e sonori per i miei progetti intendo esattamente questo: parlo solo dei miei progetti, e sempre finché seguono uno stile particolare. Ma quando lavoro per dei clienti non posso ignorare la questione, che tra l’altro spesso mi pongono loro: ma le musiche?
Ultimamente sto abbracciando questa strategia, ovvero: la musica e il sound design sono tasselli che devono aiutare lo scopo principale di un podcast: comunicare. Pertanto dipende tutto dal tipo di progetto su cui sto mettendo le mani. Podcast narrativi, di taglio quasi documentaristico, come l’Atlante sonoro degli archivi italiani, si sposano molto bene con l’idea di “musica di sottofondo” – che a sua volta dev’essere una musica adatta ai diversi momenti della puntata. Altri, come Amici animali, sono più adatti per giocare con un ristretto numero di stinger ed effetti sonori, che introducano i diversi segmenti, e magari sempre gli stessi sempre negli stessi momenti.
(Uno stinger è un audio che segna la transizione tra un segmento e un altro, tipo la schitarrata degli spoiler di Ricciotto; mentre il bumper è una musica breve sopra la quale si può parlare, ad esempio nelle introduzioni o nelle code, cose così.)
Pertanto negli ultimi tempi, soprattutto quando mi fanno delle domande dirette ai corsi che tengo, ho iniziato a rispondere in una maniera che può suonare davvero da stronzo, ma che è l’unica cosa che posso dire in tutta onestà: dipende. Dal tuo progetto, da quello che vuoi ottenere, dall’atmosfera che vuoi creare.