Post-produzione, questa sconosciuta


Eccomi: ho deciso di affrontare un argomento gigantesco, per il quale servirebbe davvero tanto tempo per poterne analizzare tutti gli aspetti e tutti i lati possibili. Sono convinto anche del fatto che non sia sempre necessario analizzare una questione da tutti i punti di vista, e anzi cercare di farlo sempre ci porti in grosse paludi di dubbi e incertezze: ma sulla post-produzione davvero c’è un mondo e con questo pezzo ne vedremo appena appena qualche aspetto.

Iniziamo per esempio col dire che con «post-produzione» intendiamo tante cose diverse, ma con un filo comune: è tutto quello che viene fatto dopo la produzione, nel caso nostro dopo la registrazione della voce tua e delle tue co-conduttrici. Se vuoi inserire delle musiche, magari montandoci sopra la voce coi ritmi giusti, e fare un lavoro di sound-design: quella è post-produzione. Ma anche tagliare gli errori di pronuncia o di lettura è post.

Quello di cui parliamo oggi è un aspetto molto definito, la spada di Damocle di tutte quelle che iniziano un podcast da zero: ma che faccio con i miei errori, le mie imperfezioni? Quando c’è troppo silenzio tra una frase e quella dopo, che faccio? Taglio?

Sì, taglia.

Cerca di ottenere un prodotto ascoltabile senza che le tue ascoltatrici debbano fare fatica. Sforzati di dare loro dei contenuti interessanti, sui quali rimuginare, anche: lasciale riflettere, dai loro un po’ di “cibo per la mente”. Oppure ancora: stravolgi le loro emozioni, lasciale col magone. Ma fallo nella maniera più liscia possibile, senza che debbano sforzarsi non solo di ragionare ma anche di riuscire a sentirti.

Ovviamente non parlo dei podcast letti, quelli in cui stai seguendo un copione: lì l’errore deve per forza andarsene, non ci sono storie. In questo pezzo mi riferisco esclusivamente ai podcast più chiacchierati, anche improvvisati.

Dirti di tagliare sembra l’opposto di quello che faccio coi miei podcast, specialmente Ricciotto, dove gli errori sono integrati nel programma, in un modo o in un altro. Ma a Ricciotto ce lo possiamo permettere perché dopo quasi quattrocentocinquanta puntate abbiamo piena consapevolezza dei mezzi di produzione e dei nostri limiti. Non solo dei nostri limiti personali, ma dei limiti d’ognuno: so dove eccelle Aldo e dove invece inciampa, capisco quando intervenire se Fede ha dei dubbi, e loro ugualmente nei miei confronti. Inoltre, il nostro scopo è di parlare di cinema nella maniera più competente ma naturale possibile, e non c’è niente di male nell’avere un dubbio o impappinarsi durante un discorso.

Nonostante questo, quando un passaggio proprio non ci viene, oppure prendiamo una tangente che è eccessiva persino per noi, non abbiamo problemi a rifare, e soprattutto tagliare la parte non riuscita. Non è più live to tape, cioè registrato come se fosse in diretta, ma il più delle volte non se ne rende conto nessuno e, soprattutto, la qualità è migliore.

Alla domanda «ma che faccio con i miei errori, le mie imperfezioni? Quando c’è troppo silenzio tra una frase e quella dopo, che faccio? Taglio?», la risposta quindi è: togli tutto quello che impedisce a chi ti ascolta di seguire bene quello che stai dicendo.

Questo non è un suggerimento che ti deve spingere a un editing maniacale, comunque: non serve levare tutti i tic verbali, o le pause significative, si arriva all’eccesso di un podcast sterile e fin troppo controllato. Una delle meraviglie di questo mezzo è proprio la spontaneità e l’umanità che traspare anche dalle imperfezioni, se le togli tutte vien fuori un bollettino ministeriale. Anni fa, agli inizi, passai una mezza giornata a togliere le finali di frase, strascicate all’infinito, di un ospite di un mio podcast, che per il nervosismo dato dal parlare al microfono andava particolarmente lungo prima di iniziare un nuovo periodo. Oggi non correggerei tutti quei momenti, forse interverrei accorciando le pause tra una frase e l’altra (cercando di non falsare troppo il ritmo del discorso: è importantissimo anche quello!), ma poco altro.

A parte casi così estremi, comunque, sentiti libera di tagliare e lasciare fuori le cose su cui effettivamente inciampi e che incasinano il filo del tuo ragionamento: il resto tienilo, fa colore. Nel caso di un podcast, “fare colore” è una componente fondamentale.