Dove è meglio farsi ascoltare
La risposta semplice è: ovunque. La risposta più articolata non c’è, a meno che tu non abbia motivi personali, di principio o politici (o un mix di queste tre motivazioni) per privarti di un canale di ascolto. No, scusa, devo riscriverla: per privare le tue potenziali ascoltatrici della possibilità di ascoltarti su un determinato canale. I canali principali sono tre, Spotify, Apple Podcast e Google Podcast.
Spotify era soltanto una piattaforma di musica in streaming, con un sacco di problemi legati alle ristrettezze economiche (le roytalties musicali costano). Da un paio di anni ha arricchito la propria offerta con i podcast, ottenendo un sacco di contenuto contro il quale fare pubblicità e far quadrare meglio il bilancio. Indipendentemente da cosa pensi di Spotify è diventato il primo o il secondo canale di ascolto, a seconda del tuo pubblico di riferimento, e non avere una presenza su questa piattaforma non è sicuramente una cosa positiva.
La mia, in breve: non mi piace l’esperienza d’uso di Spotify, e sono sinceramente preoccupato al pensiero che possa diventare la piattaforma dominante per il podcast. Contrariamente al vecchio standard di fatto, iTunes, Spotify ha delle mire abbastanza esplicite: stanno producendo dei programmi audio che possono essere ascoltati soltanto su Spotify, e che chiamano “podcast”. Come ho spiegato poco fa, non sono dei podcast.
La vulgata vuole che iTunes di Apple fosse il database dal quale attingevano tutte le varie app per l’ascolto dei podcast: per lungo tempo, la vulgata corrispondeva al vero. Oggi non è più così: Spotify ha il proprio database cui fare riferimento, e così anche Google Podcast; non solo: alcune app hanno sviluppato i propri sistemi e i propri database per proporre ai propri utenti gli ascolti. Inoltre, iTunes non esiste più: adesso devi fare riferimento ad Apple Podcast.
Nonostante questi recenti avvenimenti, rimane il secondo canale per l’ascolto dei podcast, come minimo. L’unica scomodità è che dovrai essere tu a sottoporre il tuo podcast perché venga inserito nel database. Siccome è una procedura articolata (pur nella sua semplicità), sarà oggetto di un altro articolo, specifico. Abbi pazienza.
Google Podcast è l’ennesimo tentativo di Google di mettere un piede nel campo da gioco, e pare essere quello definitivo, ma la mano sul fuoco ancora non ce la metto. È ancora attivo Google Play Music, e solo in queste settimane è stato bloccata la possibilità di inviargli nuovi podcast, segno che il passaggio a Google Podcast dovrebbe essere quello definitivo. (Dovrebbe.)
Contrariamente a Spotify e Apple Podcast, ai quali è necessario sottoporre attivamente i propri feed, Google Podcast funziona esattamente come Google: quindi compari una volta che i crawler trovano il tuo feed e lo indicizzano, non prima.
Spreaker
Nata da italiani e confluita in una più grande azienda statunitense, Spreaker si è imposta fin dalla nascita come il punto di riferimento per il podcast italiano: non c’è nessuno che non sia su Spreaker, o anche su Spreaker, compresi i programmi radiofonici che usano il podcast come sistema per proporre i propri contenuti on demand.
Spreaker ti permette di avere una casa per il tuo podcast, ovvero un micro-sito per i tuoi contenuti: per quanto la grafica non sia delle migliori è sicuramente meglio di niente. Le tue ascoltatrici potranno anche lasciare dei commenti alle puntate.
Spreaker diffonde poi su: Apple Podcast, Spotify, iHeartRadio, Google Podcast, Castbox, Deezer, Podcast Addict, Podchaser, JioSaavn. Inoltre mette a disposizione il link per il feed RSS, in modo che ci si possa iscrivere direttamente attraverso Spreaker, senza usare altri canali. E infine, ti dà la possibilità di includere il player della puntata su una pagina web (embed).
Esiste un piano a pagamento e piani via via sempre più costosi: all’aumentare del costo tendenzialmente aumentano le ore disponibili per l’archivio, oltre ad alcune caratteristiche tipo la monetizzazione (che non c’è, per il piano gratuito).
Anchor
Molto diffusa oltreoceano e acquistata l’anno scorso da Spotify, Anchor è l’altra grande piattaforma per l’hosting dei tuoi podcast. Non prevede piani a pagamento, e sconta questa limitazione con l’impossibilità, attualmente, di avere più podcast sotto lo stesso account: Querty dovrebbe avere un profilo per ciascun podcast, disperdendo infinitamente il valore del network, per fare un esempio a me vicino. (Non è detto comunque che in futuro non cambi, questa situazione.) In ogni caso, ti permette di finire su tutte le piattaforme che ti interessano.
Come anche Spreaker, Anchor ti offre un’app per registrare il tuo podcast, con alcune funzionalità carine (per esempio quella per la registrazione a distanza). La monetizzazione è presente soltanto per i podcast basati negli Stati Uniti, ma ti offrono la possibilità di essere pagata direttamente dai tuoi ascoltatori.
Il resto
Non esistono solo Spreaker e Anchor: all’inizio della mia avventura di podcast ho usato Podbean, che da allora pare esser migliorato in molti aspetti a discapito dell’economicità (una volta te la cavavi con 5 dollari al mese, se non ricordo male: oggi non ne paghi meno di 9).
Libsyn è uno degli hosting più noti nel mondo dei podcast d’oltreoceano. Non l’ho mai usato ma l’ho sentito nominare spessissimo.
Cosa non c’entra proprio niente
Magari ti sei chiesta: e come faccio a far arrivare il mio podcast su Storytel e Audible? Non puoi, per il momento. Il fatto è che non sono servizi di podcast come gli altri, ma sono piattaforme private, che producono i propri audio show e li rendono disponibili per il proprio pubblico pagante. Il che non è un problema, sia chiaro: solo, non chiamiamoli podcast.
Attenzione però, ché pare che Amazon si stia muovendo in questa direzione, anche se le informazioni al momento sono estremamente ridotte.