Il grande dibattito non è tra Mac e PC, non è tra iOS e Android, non è tra la pizza con l’ananas o senza: è tra chi fa l’equalizzazione prima di registrare e chi la fa in post-produzione. Per quel che mi riguarda: Mac, iOS, no ananas sulla pizza, EQ in post.
Questo sarà un post teorico, disquisizioni sul sesso degli angeli, i massimi sistemi, quelle robe lì: ma spero ti risulti ugualmente interessante. Ah, e non dimenticare di farmi sapere come la pensi, qui su Patreon si possono commentare i pezzi! ❤️
Partiamo dall’inizio: un suono è un’onda generata da una vibrazione, e quest’onda si propaga nell’aria, che è un gas (ma anche in un liquido o un solido, eh). Il suono che noi percepiamo con le nostre orecchie e processato dal nostro cervello è solo una parte dell’onda: noi percepiamo la parte sonora, e in condizioni ottimali un orecchio perfetto sente frequenze tra i 20 e i 20mila hertz.
Equalizzare un suono significa enfatizzare o limitare alcune frequenze, accentuandone alcune caratteristiche oppure ancora minimizzando certi difetti. A volte lo stravolgi così tanto che ottieni, a conti fatti, un suono completamente diverso.
Come tutte le cose che riguardano l’audio, equalizzare in maniera pesante è un gioco che fai solo se hai in mente un risultato particolare, altrimenti ti conviene limitarti a qualche aggiustatina: togliere le basse frequenze, anche fino ai 50 hertz, e limitare anche quelle sopra i 10mila: difficilmente avrai delle voci che hanno suoni, o dei suoni tout-court, al di fuori di questo range.
A seconda del software che usi potresti avere modo di intervenire in maniera visivamente diversa ma fondamentalmentalmente uguale: potrai abbassare una frequenza specifica oppure una fascia più o meno larga.
La fascia larga.
La frequenza più stretta.
Bon, passiamo oltre
Ok, ora che abbiamo affrontato alla carlona quest’argomento gigantesco (e non ti preoccupare, ci torneremo sopra), passiamo ad affrontare la domanda di questo post. Quando fare l’equalizzazione? In pre-produzione, quindi quando stai mettendo giù il microfono, stai verificando a che distanza stare, spegni la lavatrice, chiudi la porta della stanza, quelle cose lì? Oppure in post-produzione, quando cioè la registrazione è stata fatta e puoi intervenire soltanto per modificare un po’ le cose, non certo ribaltarle completamente?
Essendo stato, taaaaanti anni fa, uno scarso musicista, io per un lungo periodo ho prediletto la prima opzione: creo il mio suono, che sia un marchio di fabbrica, e mi risolvo buona parte del problema. Il fatto che non ci sia mai davvero riuscito è solo uno dei motivi per i quali sono passato all’opzione due, cioè fare tutto in post.
Negli anni ho capito che l’audio di un podcast non equivale a registrare uno strumento musicale, e certe fissazioni da chitarrista hanno poco senso se poi la gente ti ascolta con cuffiette da pochi euro, in metropolitana o in auto coi finestrini abbassati. In più una volta che inizi a usare le schede audio e non più i mixer, ti trovi a non avere nemmeno delle manipoline da spippolare: infatti nelle schede audio entri direttamente col suono del microfono, grazie a un bel cavo XLR, e l’unica cosa su cui puoi intervenire è il guadagno del canale, fine. (Certo, si usano schede audio anche negli studi di registrazione: ma in quei casi dopo la scheda audio vengono collegati diversi effetti, per esempio un equalizzatore esterno, per avere di nuovo la possibilità di giocare con le frequenze.)
Poi personalmente mi piace anche il controllo che posso esercitare su ogni singola traccia, tra effetti come equalizzatore e compressore, i volumi, e tutte le cose che si possono fare dopo.
Puoi anche scegliere di non fare post-produzione, s’è per quello: puoi registrare e poi esportare il file e buonanotte al secchio, anche se te lo sconsiglio (un po’ di basse e alte frequenza da tagliare ci sono sempre). In questo modo, per quanto probabilmente mi faresti venire forti brividi lungo la schiena, scavalleresti la domanda che dà il titolo a questo post e confermeresti una volta di più il detto che dice che, se c’è una domanda nel titolo di un pezzo, la risposta è quasi sempre «No».